Riforma crisi d’impresa – Codice della crisi d’impresa: le linee guida dei procedimenti di allerta e composizione assistita della crisi

Gli istituti dell’allerta e della composizione assistita della crisi, nello schema di decreto legislativo destinato ad attuare la legge delega 19 ottobre 2017, n.155, hanno subito rilevanti modifiche rispetto al testo proposto dalla Commissione Rordorf II, attenuandosi l’efficacia delle segnalazioni e non semplificando il procedimento.

Le linee guida di allerta e composizione assistita e gli aspetti innovati nell’accesso

L’originario art. 4 del disegno di legge S-2681 (con la numerazione assunta nel passaggio approvativo della Camera dei Deputati del d.d.l. 3671-bis del 1 febbraio 2017, poi divenuto art. 4 della legge n.155 del 2017) risulta sostanzialmente riscritto rispetto al testo di presentazione parlamentare alla Camera, a sua volta mutato rilevantemente rispetto a quello già licenziato dalla Commissione Rordorf I, componendosi di una minuziosa parte procedimentale e di un altrettanto dettagliata parte sostanziale. Ciò ha determinato una oggettiva delineazione rigida del perimetro di scrittura delle bozze dei decreti delegati e tuttavia la collocazione d’esordio nei nuovi istituti rispetto al precedente quadro dei diritti-doveri dei debitori e delle corrispondenti pretese-soggezioni dei creditori non si è mai presentato, potenzialmente, impermeabile ad assetti anche molto differenziati: va infatti tenuto in conto che all’esterno di detto perimetro risiede la più tradizionale concorsualità giudiziale e dunque i relativi presupposti e limiti di accesso condizionano anche gli istituti deputati a prevenirla o a prepararne un percorso ridotto e più efficace.

Tali zone disputabili hanno non casualmente occupato tutta la lunga gestione dei testi, spesso ospitando inserzioni volte a depotenziare la carica di novità di sistema posta dall’art.4 cit. e tuttavia offrendo alfine una resistenza interna sufficientea dirne realizzata una delega possibile. Anche se, si aggiunge, il dibattito accesosi sulle soglie di segnalazione dei debiti fiscali e sulle condizioni di accesso alla premialità ha maturato un formante finale decisamente incline, invariata la cornice, a non sanzionare rilevanti condotte di infedeltà o evasione fiscale. La resistenza esterna, all’opposto, appare consistentemente vulnerata da scelte esonerative pesanti e regressive (ad es. sull’imprenditore agricolo, per il quale l’allerta si applica se compatibile con la struttura organizzativa, ferma la competenza dell’OCC e non degli OCRI ex art. 12 comma 5) ) ovvero procedimentali (il debitore, giunto al procedimento per l’apertura della liquidazione giudiziale, non è più tenuto, al più quando si costituisce, a formulare istanza di accesso ad una procedura di regolazione concordata, ma può provvedervi in qualunque momento, ai sensi dell’ultima versione dell’art. 41 comma 4; per l’art. 54 comma 2 il debitore – analogamente a quanto accade con l’attuale concordato in bianco – consegue da sé il blocco delle azioni esecutive, essendo sufficiente che dichiari nella domanda di cui all’art.40 che intende avvalersene ).

Richiamati allora i principi sulla natura non giudiziale e confidenziale delle procedure di allerta e di composizione assistita della crisi, non va sottaciuto che, al di là della denominazione non processuale, si è pur sempre al cospetto di istituti che, pur non cambiando in modo diretto il codice civile, introducono al suo fianco una prima area regolata di concorsualità preventiva.

La progressività delle fasi: emersione interna e condivisione istituzionale della crisi

Così l’impianto all’esame delle Commissioni parlamentari, anche per la scelta di includere – come previsto dai principi della legge delega – le incisive modifiche allo statuto codicistico dell’imprenditore (riunificando i plurimi testi licenziati nel dicembre 2017 e poi febbraio 2018 dalla Commissione Rordorf), esprime con maggiore evidenza la portata riformatrice, permettendo di connettere le nuove previsioni di doveri organizzativi interni all’operatività, soprattutto, dell’allerta. Per altri aspetti, in attesa che si definisca il quadro soggettivo di riferimento – che risente in modo diretto di preoccupazioni restauratrici dell’assetto anteriore, secondo un’azione di depotenziamento diffidente verso forme anche minime di controllo – occorre esaminare il procedimento-tipo o, preferibilmente, il percorso plurifasico che prevenzione, allerta e composizione assistita possono assumere, dovendo poi segnalare che una certa regressione o non progressione apparterrà ad alcune categorie speciali di debitori, esentati dall’investimento concorsuale ordinario (come gli imprenditori agricoli e le imprese minori, oltre alle grandi imprese, i gruppi di rilevanti dimensioni, le imprese ammesse alla liquidazione coatta amministrativa e le s.p.a. quotate o con capitale diffuso, ex art. 12 comma 4, ma con riserva anche a tali soggetti di poter accedere alle misure premiali dell’art. 25 se ricorra tempestività dell’iniziativa verso la regolazione di concorsualità ex art. 25).

La notazione induce ad osservare con criterio relativistico la pretesa natura organica della riforma (solennemente oggetto del primo punto della delega, all’art. 1 comma 1 legge 19.10.2017, n. 155) apparentemente consegnata ad un iter che, all’esito, lascerà ampie zone grigie, accanto a sopravvissute esenzioni di specialità. Si tratta di un risultato che non ha nulla a che vedere con generiche giustificazioni sulle tecnicalità delle misure in esame, apparendo del tutto strumentale ogni riferimento ad esse come appesantimento o snaturamento dello statuto economico dei debitori corrispondentemente oggetto di eccezioni. La logica esoneratrice appare infatti rispondere, senza particolare originalità, a perduranti spinte lobbistiche ovvero al mantenimento di aree separate nel diritto dell’insolvenza che hanno nell’assenza del controllo giudiziale il loro minimo comun denominatore. Tale fuga dalla giurisdizione, illustrata come recupero di discrezionalità nelle condotte economiche (business judgement rule), può invero essere letta anche come sottrazione o accrescimento delle difficoltà a rispondere: dei debiti in primo luogo sorti per effetto di insolvenze colpevolmente non regolate e dei danni a terzi sempre più spesso propri dell’agire economico non intermediato da conflitti con portatori di interessi collettivi o singoli antagonisti. Così l’art.3 CCI, ove separa i doveri di prevenzione dell’imprenditore individuale da quelli dell’imprenditore societario e collettivo, spezza la possibile, ed originariamente auspicata, unitarietà dell’art.2086 c.c. riformato evitando il varo di un’unica clausola generale e dunque differendo la nascita di un formante interpretativo coerente, pur nella differenziazione fattuale.

La novità della riforma va conclusivamente analizzata misurando l’indice di consapevolezza legislativa del principale fattore d’insuccesso degli istituti ad oggi lasciati all’iniziativa del solo debitore, che perviene alla proposta di gestione in concorsualità della sua crisi con storico e cronico ritardo, nè sa organizzarla in modo efficace restando nella negozialità pura. Si è detto dunque decisivo verificare se siano stati finalmente costruiti avanzati incentivi sufficienti ad una leva precoce come pure ad una sanzione deterrente ove tale iniziativa sia mancata, nell’ottica della ”emersione anticipata della crisi”, valore-guida recepito anche nominalmente, ad esempio all’art. 4 comma 1 della legge n. 155 del 2017.

Il debitore-imprenditore individuale deve pertanto agire secondo “misure idonee”, mentre quello collettivo deve determinarsi secondo un “assetto organizzativo”, funzionali a monitorare preventivamente la crisi e aggredirne i fattori disgreganti, termini che evocano una estemporaneità e flessibilità nell’agire della prima impresa ed una maggiore strutturalità e continuità in quello della seconda. La scelta testuale, adottata in fase finale di redazione e durante il passaggio ministeriale, in realtà smorza la portata riformatrice assumendo fotograficamente una rispettiva tipologia economica organizzativa e semplicemente riversandola nella norma. L’effetto così fissato dall’art. 374 CCI (che riformula in modo bipartito l’art.2086 c.c.) e dall’art. 3 CCI è solo apparentemente realistico, poiché elude la possibilità di costruire un principio di sistema nella responsabilità da previsione d’insolvenza per qualunque soggetto economico, dando vita a due clausole generali in parte sovrapposte (art. 3 comma 2 CCI e art. 2086 comma 2 c.c.).

I limiti soggettivi e di sistema; la compartecipazione di alcune misure dell’allerta per i soggetti esclusi

L’art. 12 CCI ha dunque escluso che l’allerta e la composizione assistita della crisi si applichino al di fuori dell’area degli imprenditori. Tale limite, per quanto non espresso all’art.4 comma 1 lett. a) legge n. 155/2017, che ne aveva solo ipotizzato una portata circoscritta per “casi”, è stato ricavato dall’intera disposizione, anche per i frequenti richiami a soggetti terzi investiti di prerogative di controllo connotative solo delle relazioni con imprenditori e poi per la formula aperta lasciata dall’inciso della predetta norma, delegante a rinvenire appunto “i casi in cui le procedure … non trovano applicazione”.

In maggior testuale adesione alla parte positiva dello stesso art. 4 comma 1 lett. a) legge n. 155/2017 si è pertanto ribadito che gli istituti non si applicano alle imprese più dimensionalmente dotate. Ciò vale in blocco e in generale sia per l’allerta che per la prevenzione ed è scelta che probabilmente presuppone per un aspetto la conservazione del territorio delle procedure a guida governativa (l’unicum, non proprio invidiato dagli ordinamenti stranieri, dell’amministrazione straordinaria), per altro un giudizio di inidoneità tecnica già solo anche degli organismi di composizione della crisi e dei loro tavoli concertativi, quali strutture idonee a gestire la crisi o l’insolvenza, appunto, di grandi imprese. Che resti nel vago la loro definizione alla stregua della normativa dell’Unione europea, non è stata la maggiore preoccupazione della nuova disposizione. Il CCI infatti affida ad una parte iniziale definitoria (nell’art. 1) tutte le nozioni proprie dei soggetti esclusi: grandi imprese (lett. g), gruppi di imprese di rilevante dimensione (lett. i), imprese assoggettate alla LCA prima speciale e poi destinata, salvo modifiche, a costituire la procedura corrente ed esclusiva (dunque banche, intermediari finanziari, assicurazioni, società fiduciarie) (art. 295 CCI) oltre alle citate quotate in mercati regolamentati o con azioni diffuse tra il pubblico in misura rilevante secondo i criteri Consob per gli emittenti.

Ciò che appare dunque più chiaro, condivisibile o meno, è la sottrazione dall’agone comune con creditori, OCRI, PM, Erario e istituti di previdenza e in prospettiva tribunale, delle società quotate o che agiscono nei mercati regolamentati. Per tali soggetti un istintivo e tradizionale riflesso di protezione anche del mercato finanziario ha suggerito uno statuto di eccezione che però il legislatore delegato ha allargato ad altri soggetti ritenuti implicitamente assimilati.

Va tuttavia osservato che le misure premiali, definite all’art. 25 e correlate ad una situazione di tempestività dell’iniziativa schematizzata nell’art. 24 CCI, per quanto immaginate già nell’art.4 comma 1 lett. h) legge 155/2017 come coronamento dell’attivismo dell’imprenditore anche per l’avvio della composizione assistita, sono state dall’art.12 comma 4 CCI generalizzate in favore anche degli imprenditori esclusi da tali istituti e procedimenti. E a loro volta, la esclusione dalla liquidazione giudiziale per gli imprenditori agricoli e le imprese minori (la cui insolvenza è affidata ancora agli OCC) non ha impedito al Governo di estendere anche a tali soggetti gli “strumenti di allerta” (art. 12 comma 5 CCI) “compatibilmente con la loro struttura organizzativa”.

Quanto infine alle imprese assoggettate alla LCA per ragioni di irregolarità, il mantenimento inalterato delle previsioni dell’art.14 nel testo allestito dalla Commissione Rordorf I, passato indenne al vaglio delle Camere e tradottosi nel corrispondente art. 15 l. n.155/2017, ha fatto sì che al comma 1 lett. b) legge delega, viene ribadito che spetta all’autorità amministrativa di vigilanza la competenza in tema di segnalazione dell’allerta e le funzioni degli organismi di composizione della crisi. Nel decreto delegato si chiarisce (art. 12 comma 6 CCI) che sia l’allerta che la composizione assistita trovano applicazione a tali soggetti, con l’accorgimento della integrazione delle funzioni dell’autorità amministrativa di vigilanza, ai sensi dell’art. 316 comma 1 lett. a) e b) CCI: sarà l’autorità di vigilanza a ricevere le segnalazioni interne, dei revisori e dei maggiori creditori ed essa svolgerà le funzioni dell’OCRI in modo indiretto e cioè designando due membri del collegio su tre ovvero l’unico commissario (organo monocratico) se si tratta di impresa minore.

Il testo dell’art. 316 scioglie così, pare, il dubbio lasciato dalla disposizione di delega, vale a dire se tale competenza fosse aggiuntiva rispetto a quella dei soggetti di cui all’art. 4 o vi si sostituisse in toto: la seconda opzione, di fatto, pur svuotando in parte il proposito di uniformizzazione delle procedure, ha costituito il compromesso con la volontà di sopravvivenza di una concorsualità tuttora oggetto di riserva delle prerogative del potere governativo.