L’avvocato distrattario non può richiedere l’I.V.A. alla parte soccombente

Secondo la Cassazione, ordinanza 13 settembre 2018, n. 22279, l’avvocato distrattario può richiedere alla parte soccombente solamente l’importo dovuto a titolo di onorario e spese processuali e non anche l’importo dell’i.v.a. che gli sarebbe dovuta, a titolo dì rivalsa, dal proprio cliente, abilitato a detrarla.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI:
Conformi: Cass. 21 febbraio 2012, n. 2474
Difformi: Non si rinvengono precedenti

L’avvocato G.L., quale difensore distrattario dell’avvocato M.M., intimava con precetto a V.S. il pagamento di spese processuali liquidate da un’ordinanza emessa in sede di reclamo cautelare.

V.S. si opponeva al precetto sia perché erano state indicate somme secondo tariffe abrogate, sia perché erano stati richiesti oneri di registrazione già evasi dall’opponente, sia perché era stato ingiunto il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto che era a carico della parte vittoriosa, la quale, come soggetto d’imposta, trattando l’originaria controversia di compensi professionali forensi, aveva titolo per recuperarla portandola in detrazione.

Il giudice di pace rigettava l’opposizione con pronuncia parzialmente riformata dal tribunale che riduceva le spese autoliquidate a titolo di compensi professionali, ma disattendeva la pretesa di esclusione dell’I.V.A.

Avverso questa decisione ricorre per cassazione V.S.

La Suprema Corte, in accoglimento del ricorso, cassa con rinvio la sentenza impugnata.

In particolare, i Giudici di legittimità hanno richiamato la giurisprudenza della Suprema Corte, secondo cui l’avvocato distrattario può richiedere alla parte soccombente solamente l’importo dovuto a titolo di onorario e spese processuali e non anche l’importo dell’I.V.A. che gli sarebbe dovuta, a titolo dì rivalsa, dal proprio cliente, abilitato a detrarla.

Ciò in quanto, in materia fiscale costituisce principio informatore l’addebitabilità di una spesa al debitore solo se sussista il costo corrispondente e non anche qualora quest’ultimo venga normalmente recuperato, poiché non può essere considerata legittima una locupletazione da parte di un soggetto altrimenti legittimato a conseguire due volte la medesima somma di denaro.

Nel caso in esame si è proprio in sede di opposizione a precetto per la ragione in parola: il difensore precettante è pacificamente anticipatario e l’importo a titolo di i.v.a. è altrettanto pacificamente deducibile dalla parte vittoriosa e committente la prestazione professionale liquidata, sicché il destinatario passivo finale del pagamento del tributo, potendo normalmente detrarla, deve ritenersi non sopportare alcun costo effettivo, che, perciò, non è suscettibile di pretesa, altrimenti finendo con l’essere pagata la somma, per il medesimo titolo, due volte (in sede di rivalsa dal committente obbligato e legittimato a detrarla, e in adempimento del precetto dal soccombente); quanto sopra comporta la cassazione della sentenza limitatamente alla censura accolta, e la possibilità di decisione nel merito sul punto, non essendo necessari altri accertamenti, con assorbimento del secondo motivo; le spese seguono la soccombenza.

Esito del ricorso:

Cassa, con rinvio, la sentenza n. 2663/2015 del Tribunale di Taranto, depositata il 31 luglio 2015

Riferimenti normativi:

D.P.R. 26.10.1972 n. 633, artt. 19 e 41

D.Lgs. 18 dicembre 1997 n. 471, art. 6, comma 8

Cassazione civile, sez. II, ordinanza 13 settembre 2018, n. 22279