Illegittima la liquidazione delle spese al di sotto dei minimi tariffari

Secondo la Cassazione, ordinanza 31 agosto 2018, n. 21487, il decreto del Ministero della Giustizia n. 55 del 10/3/2014, nella parte in cui determina un limite minimo ai compensi tabellarmente previsti (art. 4), detta i criteri ai quali il giudice si deve attenere nel regolare le spese di causa.

 

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI:
Conformi: Cass. civ. sez. II, 17 gennaio 2018, n. 1018
Difformi: Non si rinvengono precedenti

La Corte d’Appello di Perugia, decidendo in sede di rinvio, condannò il Ministero della Giustizia a pagare in favore di N.V., M.T.A., I.G., A.I., G.M. e M.V., e per ciascuno di loro, la somma di € 1.166,00, a titolo d’equo indennizzo per la non ragionevole durata di un processo di equa riparazione, nonché le spese processuali, liquidate in complessivi € 405,00, oltre € 8,00 per esborsi, oltre accessori, spese tutte distratte in favore dei difensori antistatari.

Avverso il predetto decreto gli anzidetti istanti propongono ricorso, esponendo che la Corte di merito aveva violato o falsamente applicato gli artt. 91 c.p.c. e 2233 c.c. nonché il d.m. n. 55/2014, per avere liquidate il rimborso spese al disotto del minimo legale, relativamente alla fase di rinvio.

La Suprema Corte, in accoglimento del ricorso, ha cassato il decreto impugnato.

In particolare, i Giudici di legittimità hanno affermato di non condividere l’opinione secondo la quale il decreto del Ministero della Giustizia n. 55 del 10 marzo 2014, nella parte in cui determina un limite minimo ai compensi tabellarmente previsti (art. 4) non può considerarsi derogativo del decreto n. 140, emesso dallo stesso Ministero il 20.7.2012, il quale, stabilendo in via generale i compensi di tutte le professioni vigilate dal Ministero della Giustizia, al suo art. 1, comma 7, dispone che «In nessun caso le soglie numeriche indicate, anche a mezzo di percentuale, sia nei minimi che nei massimi, per la liquidazione del compenso, nel presente decreto e nelle tabelle allegate, sono vincolanti per la liquidazione stessa».

Il d.m. n. 140 – osservano i Supremi Giudici – risulta essere stato emanato allo scopo di favorire la liberalizzazione della concorrenza e del mercato, adempiendo alle indicazioni della UE, a tal fine rimuovendo i limiti massimi e minimi, così da lasciare le parti contraenti (nella specie, l’avvocato e il suo assistito) libere di pattuire il compenso per l’incarico professionale; per contro, il giudice resta tenuto ad effettuare la liquidazione giudiziale nel rispetto dei parametri previsti dal d.m. n. 55, il quale non prevale sul d. m. n. 140 per ragioni di mera successione temporale, bensì nel rispetto del principio di specialità, poiché, diversamente da quanto affermato dall’Amministrazione resistente, non è il d.m. n. 140 – evidentemente generalista e rivolto a regolare la materia dei compensi tra professionista e cliente (ed infatti, l’intervento del giudice ivi preso in considerazione riguarda il caso in cui fra le parti non fosse stato preventivamente stabilito il compenso o fosse successivamente insorto conflitto) – a prevalere, ma il d.m. n. 55, il quale detta i criteri ai quali il giudice si deve attenere nel regolare le spese di causa.

Nel caso di specie, la liquidazione effettuata dalla Corte locale in complessive € 900,00 per la fase di rinvio si pone al di sotto dei limiti imposti dal d.m. n. 55, tenuto conto dl valore della causa (da € 1.100,01 a € 5.200,00) e pur applicata la riduzione massima, in ragione della speciale semplicità dell’affare (art. 4, cit.).

Il provvedimento gravato deve essere, perciò, cassato e, sussistendone le condizioni, decisa la causa nel merito, il complessivo compenso, in relazione al giudizio di rinvio, può essere liquidato in € 1.198,50 (€ 255,00 per la fase di studio, € 255,00 per la fase introduttiva, € 283,50 per la fase istruttoria, € 405,00 per la fase decisionale), oltre IVA e contributo ex art. 11 I. n. 576/1980, con distrazione in favore degli avvocati che ne hanno fatto richiesta, dichiarandosi antistatari.

Esito del ricorso:

Cassa il decreto n. 1046/2016 della Corte d’Appello di Perugia, depositato il 26 maggio 2016 e decide nel merito

Riferimenti normativi:

Art. 4, D.M. 10.3.2014, n. 55

Art. 1, comma 7, D.M. 20 luglio 2012, n. 140

Cassazione civile, Sez. II, ordinanza 31 agosto 2018, n. 21487