Frode fiscale: c’è compatibilità tra recidiva e continuazione

Con la sentenza 54182/2018, la Suprema Corte ha affrontato la dibattuta questione relativa alla compatibilità tra l’istituto della continuazione e la recidiva. Per i giudici di legittimità non è ravvisabile alcuna antinomia strutturale e funzionale tra i due istituti. Invero, la commissione di una pluralità di illeciti e l’autonomia volitiva sottesa alle diverse fattispecie incriminatrici, seppur ricomprese nel medesimo disegno criminoso, dimostrano sintomaticamente una persistente attitudine a delinquere del soggetto agente. Ne deriva che la presenza di una volontà antigiuridica radicata e l’insensibilità al rispetto della legge penale possono giustificare a carico dell’agente l’applicazione della recidiva anche in presenza del vincolo della continuazione tra i singoli episodi criminosi.

Il fatto

In conformità alla sentenza dei giudici di prime cure, la Corte d’Appello di T. ha ritenuto responsabile PF del reato di dichiarazione fraudolenta di cui all’art. 2 d.lgs. 74/2000 per aver utilizzato nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno di imposta 2007 una fattura passiva per un’operazione inesistente. Avverso la predetta sentenza di condanna, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione deducendo un unico motivo di impugnazione. A riguardo, il ricorrente ha lamentato che i giudici di seconde cure non avrebbero erroneamente dichiarato la sopravvenuta prescrizione del reato atteso che la recidiva reiterata contestata non sarebbe stata applicabile in quanto riferibile a due sentenze di condanna riferite a reati ritenuti con l’emissione della seconda pronuncia avvinti dal vincolo della continuazione.

Sulla compatibilità tra recidiva e continuazione

La Suprema Corte ha considerato destituito di fondamento il ricorso.

In particolare, i giudici di legittimità sono stati chiamati ad esprimersi sulla questione giuridica controversa relativa alla compatibilità tra la recidiva di cui all’art. 99 c.p. e la continuazione di cui all’art. 81, 2 comma, c.p. Non si è trattato di una problematica meramente astratta bensì di un interrogativo giuridico dalle evidenti ricadute partiche. Dalla risoluzione della predetta problematica, infatti, discendeva per l’imputato l’attuale persistenza della fattispecie incriminatrice oggetto di contestazione ovvero l’intervenuta estinzione dell’illecito fiscale addebitatogli per sopravvenuta prescrizione. Nella vicenda de qua, la Corte di T. ha ritenuto conformemente ai giudici di prime cure sussistente la recidiva reiterata di cui all’art. 99, 4 comma, c.p., sebbene i reati precedentemente giudicati con due distinte sentenze fossero stati considerati avvinti dal vincolo della continuazione. Ciò posto, è particolarmente dibattuta la questione se ai fini dell’affermazione della recidiva reiterata possa tenersi conto della condanna per un delitto la cui pena sia stata determinata quale aumento della pena base già irrogata con una precedente sentenza di condanna per un altro delitto in ragione della medesimezza del disegno criminoso. Sul punto, non si registra da parte della giurisprudenza di legittimità una soluzione univoca, bensì due distinti orientamenti contrapposti.

Per un primo indirizzo esegetico, di segno maggioritario, la recidiva e la continuazione costituirebbero due fattispecie tra loro compatibili. Ne deriva, quindi, che i due predetti istituti possono astrattamente coesistere ed operare congiuntamente in presenza dei relativi presupposti (Cass. pen., sez. unite, 17-10-1996, n. 9148). In relazione ad un recente caso, poi, è stata riconosciuta la recidiva reiterata derivante da due precedenti condanne per reati della stessa indole rispetto a quello per cui si stava celebrando il processo sebbene fosse stato ritenuto sussistente il vincolo della continuazione tra i vari illeciti (Cass. pen. sez. IV, 11-05-2018, n. 21043).

Per un secondo indirizzo ermeneutico, di segno minoritario, viceversa, il riconoscimento del vincolo della continuazione integrerebbe una condizione ostativa all’applicazione della recidiva. Ne consegue, quindi, l’inoperatività della recidiva una volta intervenuta la dichiarazione della continuazione tra il reato giudicato con sentenza definitiva, valutato come reato base più grave, e quello successivo sub judice. Ciò si giustifica alla luce del fatto che i reati avvinti dalla continuazione rappresentano segmenti di un’unica condotta illecita, connotata dalla reiterazione di diversi episodi delittuosi in esecuzione del medesimo disegno criminoso. Emerge, dunque, l’impossibilità di riconoscere la recidiva per gli illeciti successivi al primo. Ed ancora, tra la recidiva e la continuazione sarebbe rinvenibile un’intrinseca antitesi sull’assunto che la prima dimostra una speciale proclività e attitudine a delinquere del soggetto, espressa dalla reiterazione di reati consumati in piena autonomia rispetto a vicende pregresse, mentre la seconda va ad elidere proprio la predetta autonomia giacché collega ed unifica i diversi episodi criminosi (Cass. pen. Sez. V, 15-02-2011, n. 5761).

Con la presente pronuncia, la Corte di Cassazione ha avallato la soluzione maggioritaria ritenendo che il secondo orientamento finisce per travisare la stessa struttura ontologica della continuazione. Per tale indirizzo ermeneutico, infatti, i singoli reati costituirebbero frammenti di un’unica condotta criminosa privi di profili di autonomia, essendo avvinti da un solo momento di insofferenza del soggetto agente rispetto all’efficacia precettiva delle norme penali, sebbene strutturalmente integranti una pluralità di episodi delittuosi. Tale concezione finisce indebitamente per omologare la continuazione al concorso formale di reati e per annullare le rispettive differenze, assimilando la continuazione ad una sorta di complessiva reductio ad unum sostanziale. Da una parte, invero, la fattispecie di cui all’art. 81, 1 comma, c.p. si connota per la pluralità delle violazioni di legge penale e per l’unicità della condotta materiale. Dall’altra, invece, l’istituto di cui all’art. 81, 2 comma, c.p. postula accanto all’identità del disegno criminoso complessivo l’autonomia materiale e cronologica delle singole condotte nonché la deliberazione di un programma delinquenziale di massima (Cass. pen. sez. un., 8-06-2016, n. 28659). Ed ancora, il concorso formale di reati richiede un solo momento volitivo sotteso all’unicità del comportamento materiale. Per contro, la medesimezza del disegno criminoso, quale elemento costitutivo della continuazione, sottintende comunque che i vari episodi criminosi siano sorretti da singole volizioni dell’agente stante l’intervallo temporale e spaziale tra una condotta e l’altra. Ciò posto, il Supremo Collegio ha avuto più volte modo di precisare che l’istituto della continuazione non comporta il superamento dell’ontologica diversità strutturale tra le singole fattispecie criminose la cui unificazione deriva da una mera fictio iuris, determinata da una logica di temperamento del trattamento sanzionatorio del soggetto agente soltanto quoad poenam al fine di evitare il cumulo materiale delle pene. Ne deriva che l’autonomia volitiva sottesa alla commissione delle diverse fattispecie incriminatrici ricomprese nel medesimo disegno criminoso dimostra sintomaticamente una radicata e persistente attitudine a delinquere del soggetto agente, insofferente al rispetto della legge penale. Ciò costituisce un valido indice della maggiore pericolosità penale e, a fortiori, un giustificato motivo per il riconoscimento della circostanza aggravante della recidiva. Quest’ultima, pertanto, non può essere esclusa per il mero fatto che le condotte criminose siano state considerate esecutive del medesimo disegno criminoso.

Alla luce di quanto suesposto, conclusivamente, per i giudici di legittimità non è ravvisabile alcuna antinomia strutturale e funzionale tra la recidiva e la continuazione. Invero, la prima fattispecie di cui all’art. 99 c.p. è volta a sanzionare in modo più incisivo colui che mostri una maggiore capacità a delinquere, posto che dopo essere stato condannato per un delitto non colposo ne commette un altro. Ciò si giustifica alla luce della dimostrazione da parte del soggetto agente di una volontà antigiuridica persistente e di un’insensibilità all’efficacia generale e special preventiva delle leggi penali. La seconda fattispecie di cui all’art. 81, 2 comma, c.p. mira, invece, a mitigare esclusivamente il trattamento sanzionatorio in deroga al principio del cumulo materiale delle pene secondo un’ottica di favor rei. Di talchè, la considerazione unitaria del reato continuato vale solo per certi profili. Nella continuazione, invero, si ha una pluralità di reati quanto alle pene accessorie, alle misure di sicurezza, alle cause di estinzione, all’imputabilità, alla responsabilità dei concorrenti e alle circostanze.

Nel caso di specie, l’imputato aveva già subito due condanne per delitti divenute definitive prima della commissione del reato di dichiarazione fraudolenta di cui all’art. 2 d.lgs. 74/2000 oggetto del presente procedimento. Pertanto, i giudici di merito hanno ritenuto sussistenti i presupposti per l’applicazione della recidiva reiterata nei confronti di PF. Per costante giurisprudenza, peraltro, non occorre la previa dichiarazione della sussistenza della recidiva semplice ai fini dell’affermazione della recidiva reiterata (Cass. pen. Sez. V, 13-11-2014, n. 47072). In realtà, il medesimo ricorrente aveva ammesso che le condanne emesse a suo carico sono state tre ma l’ultima è divenuta irrevocabile successivamente alla commissione del reato oggetto del presente procedimento con conseguente irrilevanza ai fini dell’affermazione della recidiva (Cass. pen. Sez. IV, 11-04-2014, n. 16149). Nella vicenda de qua, l’applicazione della recidiva reiterata ha così determinato una dilatazione dei tempi della prescrizione del reato unitamente alla presenza di fattori interruttivi con relativa permanente rilevanza penale dell’ipotesi criminosa contestata all’imputato e corrispondente impossibilità di dichiararne l’intervenuta estinzione per prescrizione.

Esito:

rigetto.

Riferimenti normativi:

artt. 81, 1 e 2 comma e 99 c.p.;

art. 2 d.lgs. 74/2000.