Responsabilità per mala gestio S.r.l.: la responsabilità dell’amministratore è extracontrattuale

Con la sentenza n. 20164 del 22 ottobre 2018, il Tribunale capitolino conferma l’orientamento giurisprudenziale secondo cui l’art. 2476 comma 6, c.c., riconduce la responsabilità dell’amministratore allo schema della responsabilità extracontrattuale (o aquiliana). Perciò, il socio deve provare: a) le condotte dell’amministratore in violazione degli obblighi specifici e dei doveri connessi alla carica rivestita; b) i pregiudizi patrimoniali diretti asseritamente subiti; c) il nesso eziologico tra le condotte dell’amministratore e i danni prospettati. Non può, quindi, riconoscersi alcun risarcimento laddove il danno sia solo il riflesso di quello subito dal patrimonio sociale.

Il caso

Un socio di una società a responsabilità limitata aveva adito il Tribunale di Roma affinché condannasse l’amministratore unico al risarcimento del danno in via diretta, a causa di alcune sue condotte in grado di determinare una perdita di valore della quota del socio. In particolare, secondo le ricostruzioni dell’attore, l’amministratore aveva svolto attività in palese conflitto d’interessi con la società rappresentata, oltre ad aver precluso al socio i diritti di controllo e informazione sulla gestione societaria.

L’amministratore unico, per sua parte, aveva eccepito che il danno lamentato dal socio, al più, poteva qualificarsi quale pregiudizio riflesso e non diretto di quello eventualmente subito dalla società.

Il Tribunale di Roma, nel respingere le domande formulate dall’attore, ha precisato che l’art. 2476, comma 6, c.c. riconduce la responsabilità dell’amministratore allo schema della responsabilità extracontrattuale (o aquiliana). Perciò, il socio deve provare:

a) le condotte dell’amministratore in violazione degli obblighi specifici e dei doveri connessi alla carica rivestita;
b) i pregiudizi patrimoniali diretti asseritamente subiti;
c) il nesso eziologico tra le condotte dell’amministratore e i danni prospettati.

Con questa pronuncia, il Tribunale capitolino conferma l’orientamento giurisprudenziale secondo cui il danno risarcibile è solo quello diretto al patrimonio del socio. Mentre non può riconoscersi alcun risarcimento laddove il danno sia solo il riflesso di quello subito dal patrimonio sociale. L’azione diretta è quindi esperibile solo quando la violazione del diritto individuale del socio o del terzo sia in rapporto causale diretto con la mala gestio dell’amministratore.

Pertanto, l’applicazione degli artt. 2395 e 2476, comma 6, c.c. è esclusa se il danno allegato costituisce solo il riflesso di quello cagionato al patrimonio sociale. Tali norme richiedono, infatti, che il danno abbia investito direttamente il patrimonio del socio o del terzo.

Nel caso di specie, il tribunale ha ritenuto che la diminuzione di valore della quota di partecipazione non può essere qualificata quale danno diretto del singolo socio. La quota di partecipazione, infatti, è un bene distinto dal patrimonio sociale, la cui diminuzione di valore è conseguenza soltanto indiretta ed eventuale della condotta dell’amministratore.

Osservazioni

In seguito all’intervento riformatore di cui al d.lgs. n. 6/2003 (riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative), la responsabilità dell’amministratore di società a responsabilità limitata è disciplinata dall’art. 2476 c.c.L’articolo in parola, dopo aver disciplinato l’azione sociale di responsabilità, al sesto comma, con una norma del medesimo tenore di quella trasfusa nell’art. 2395 c.c., in tema di società per azioni, testualmente prevede che «le disposizioni di cui ai precedenti commi non pregiudicano il diritto al risarcimento dei danni spettante al singolo socio o al terzo che sono stati direttamente danneggiati da atti dolosi o colposi degli amministratori».

Tale azione ha natura e presupposti del tutto diversi da quella sociale. Il Tribunale di Roma, infatti, chiarisce che si tratta di un’azione di carattere extracontrattuale, il cui esperimento prevede che l’atto doloso o colposo realizzato dagli amministratori, nell’esercizio delle loro funzioni, abbia cagionato un “danno diretto” al patrimonio del socio. La disciplina speciale, tuttavia, non può considerarsi una mera ripetizione di quella generale. Essa viene in rilievo tutte le volte in cui gli amministratori abbiano compiuto atti a loro demandati dalla legge o dallo statuto e, soprattutto, se nell’interesse della società (A. Stagno D’Alcontres-N. de Luca, Le società, II, Torino, 2016, p. 670).

L’azione di responsabilità promossa dal socio verso gli amministratori può essere esperita entro cinque anni dal risultato negativo percepito dal danneggiato. L’art. 2476 c.c., però, nulla dispone con riguardo alla prescrizione, a differenza del termine indicato dall’art. 2395, comma 2, c.c., in tema di società per azioni. Il vuoto normativo può essere colmato pervenendo in via analogica, e in linea con quanto disposto in tema di s.p.a., con la più generale disposizione per le azioni di natura extracontrattuale, ai sensi dell’art. 2947 c.c. (così Abriani, Commento sub. art. 2476, in Commentario del Codice Civile, diretto da E. Gabrielli, a cura di D.U. Santosuosso, Torino, 2015, p. 628).

L’art. 2476, comma 6, c.c., inoltre, non aggira il regime vincolistico del patrimonio dell’impresa e ha ragion d’essere nel limite, appunto, di un interesse non interamente assorbito da quello sociale (c.d. danno diffuso). Perciò, la domanda di risarcimento del danno subito dal socio non può trovare accoglimento se il pregiudizio è interamente assorbito dal corrispondente pregiudizio al patrimonio sociale (Pinto, La responsabilità degli amministratori per “danno diretto” agli azionisti, in Il Nuovo Diritto delle Società, II, Torino, 2006, pp. 932-933). Non è escluso che, oltre alla responsabilità degli amministratori, possa configurarsi una responsabilità concorrente della società. I soggetti danneggiati possono, infatti, estendere la domanda di risarcimento nei confronti di quest’ultima, che godrà a sua volta di un’azione di rivalsa nei confronti degli amministratori.

Oltre al “danno diretto”, infine, il socio deve provare che tra il danno subito e la mala gestio degli amministratori esiste un nesso causale; vale a dire che solo dalla condotta illecita di questi è loro derivato un danno (G.F. Campobasso, Diritto Commerciale. Diritto delle Società, a cura di M. Campobasso, Torino, 2015, p. 391). Tuttavia, la posizione processuale del socio si complica se si intende aderire all’impostazione, a cui ha aderito il Tribunale capitolino, secondo cui l’azione ex art. 2476, comma 4, c.c. abbia natura extracontrattuale (cfr. in questo senso Pinto, La responsabilità degli amministratori per “danno diretto” agli azionisti, in Il Nuovo Diritto delle Società, II, Torino, 2006, p. 900 ss.).

In ogni modo, per quanto riguarda la responsabilità per danno diretto al patrimonio del singolo socio, trova comunque applicazione il principio del “più probabile che non”, secondo cui, se appare più probabile, che improbabile, che l’evento dannoso sia derivato eziologicamente dalla condotta attiva od omissiva di un soggetto (nel caso di specie, gli amministratori), la responsabilità di quest’ultimo sarà fondata ed egli sarà chiamato a risarcire il danno (v. Cass. Civ. 18 marzo 2015, n. 5450Cass. Civ. 8 settembre 2015, n. 17794).

Tanto precisato, la giurisprudenza ha ravvisato i presupposti per la responsabilità diretta degli amministratori verso soci o terzi.

a) per aver effettuato pagamenti preferenziali ad alcuni creditori in situazione di incapienza patrimoniale (v. Trib. Milano, 22 dicembre 2010, in Società, 2011, p. 757);
b) per la predisposizione di un bilancio falso, idoneo a indurre un terzo ad acquistare partecipazioni della società a un prezzo gonfiato (v. Cass. Civ., 12 giugno 2007, n.13766; Trib. Milano, 22 luglio 2010, in Giur.it., 2011, 1079);
c) per aver determinato, con dolo o colpa grave, un inadempimento della società in danno di un terzo (v. Cass. Civ., 3 dicembre 2002, n. 17110, in Foro it., 2003, I, p. 2438).

Tali presupposti, tuttavia, non esauriscono la casistica giurisprudenziale ancora in evoluzione. Sul punto deve condividersi l’opinione della giurisprudenza per cui l’interpretazione dell’avverbio “direttamente”, di cui agli artt. 2395, comma 1 e 2467, comma 6, c.c., debba essere inteso in senso ampio. È da escludersi, infatti, una sua interpretazione come sinonimo di “personalmente” (nel senso di lesione del diritto soggettivo proprio del terzo), dovendosi piuttosto riferire al rapporto di causalità giuridica che si instaura tra gli amministratori ed il danneggiato (cfr. Cass. Civ. 2 giugno 1989, n. 2685Cass. Civ. 5 agosto 2008, n. 21130Cass. Civ. 23 giugno 2010, n. 15220Cass. Civ. 16 febbraio 2016, n. 2986. In dottrina, v. Masucci, Sulla responsabilità degli amministratori ex art. 2395 c.c., in Giur. comm., 1984, I, p. 589; F. Bonelli, Gli amministratori di s.p.a. dopo la riforma delle società, Milano, 2004, p. 223).

Nel caso affrontato dal giudice capitolino, correttamente, si è inteso escludere la responsabilità diretta dell’organo gestorio verso il socio. I fatti allegati alla domanda non sono stati idonei a dimostrare che la condotta dell’amministratore era stata idonea a cagionare un danno “diretto” al patrimonio del singolo socio. In particolare, quest’ultimo aveva sostenuto che la mancata convocazione dell’assemblea, la rinegoziazione di alcuni contratti, il mancato accesso agli atti della società per il controllo sulla gestione societaria e la qualità dell’amministratore convenuto come responsabile commerciale in una società concorrente avevano danneggiato il suo patrimonio, inteso come quota sociale. L’attore, però, non ha dimostrato il nesso causale tra le condotte citate e il danno patrimoniale lamentato, tali per cui la loro mera allegazione non dà diritto al risarcimento del danno, anche se le stesse siano potenzialmente in conflitto con gli interessi della società.

Tribunale di Roma, Sez. Impresa, sentenza 22 ottobre 2018, n. 20164

Art. 2476, comma 6, c.c.