Processo tributario – Processo tributario: sì al disconoscimento di scrittura e all’istanza di verificazione

Con la sentenza 26402/2018, la Corte di cassazione conferma l’orientamento in forza del quale l’istituto processuale di cui all’art. 214 c.p.c. e il connesso altro istituto di cui all’art. 216 c.p.c. trovano entrambi cittadinanza nel processo tributario. Alla luce della centralità della prova documentale nei giudizi di fronte alle Commissioni Tributarie, l’affermazione risulta importante sia quanto ai profili relativi all’introduzione della prova nel processo, sia quanto alle relazioni tra i due istituti che si pongono spesso in relazione.

La sentenza in commento affronta e risolve una questione complessa e non frequente, invero, che pone delicati problemi in ordine ai poteri del giudice tributario e alle modalità di convincimento dello stesso, in specifico sotto in profilo della introduzione della prova nel processo.

La questione in fatto è piuttosto semplice: dall’esame del ricorso Introduttivo, riprodotto nel ricorso per cassazione, si evinceva che il contribuente aveva formalmente negato di aver apposto la propria firma sull’atto di rinuncia al credito comprovante, ad avviso dell’Ufficio, la sussistenza di un reddito, assimilato a quello di lavoro dipendente, sottoposto a tassazione.

Si tratta quindi di un comportamento processuale senza dubbio qualificato come disconoscimento della firma disciplinato dagli artt. 214 e seguenti c.p.c., inteso appunto come dichiarazione – a fronte di una scrittura che controparte assume come proveniente dall’avversario – di non conoscere tal documento.

La Corte Suprema ha chiarito come «nel processo tributario, in forza del rinvio operato dall’art. 1, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, alle norme del codice di procedura civile, trova applicazione l’istituto del disconoscimento delle scritture private, con la conseguenza che, in presenza del disconoscimento della firma il giudice ha l’obbligo di accertare l’autenticità o la natura apocrifa delle sottoscrizioni, essendogli altrimenti precluso tenerne conto ai fini della decisione. A tale accertamento si deve procedere ove ricorrano le medesime condizioni che il codice di rito prescrive per l’esperibilità della procedura di verificazione nonché, in caso positivo, con l’esercizio dei poteri istruttori e nei limiti delle disposizioni speciali dettate per il processo tributario» (Cass. Civ. n. 7355 del 2011).

Pertanto, tal istituto trova certamente applicazione nel processo di fronte al giudice tributario, come coerentemente hanno stabilito alcune sentenze di Legittimità (Cass. Civ. n. 2483/2006Cass. Civ. n. 3104/2006 e Cass. Civ. n. 3105/2006) secondo le quali va ormai considerato pacifico in giurisprudenza il principio secondo cui, in forza del rinvio alle norme del codice di rito civile nel processo tributario trova applicazione l’istituto del disconoscimento delle scritture (Cass. Civ. n. 10212 del 2003).

La contrapposta tesi, diretta a escludere l’applicazione dell’istituto, proponeva in tali eventualità il ricorso alla sospensione del processo in virtù del disposto dell’art. 39 D.Lgs. n. 546/1992.

La Corte ha anche ritenuto opportuno enunciare – a riprova dell’importanza della questione – il principio di diritto come segue: “nel processo tributario, la parte che abbia prodotto una scrittura privata, la cui sottoscrizione sia stata tempestivamente disconosciuta da colui che ne appare l’autore, contro il quale è prodotta, non può avvalersene, quale prova della propria pretesa, in mancanza di verificazione nelle forme di legge, previa sospensione del processo tributario, e a detto accertamento, comunque, il Giudice medesimo deve procedere sempreché sussistano le condizioni prescritte dalle norme codicistiche per l’esperibilità della procedura di verificazione, e, in caso affermativo, con l’esercizio dei poteri istruttori nei limiti consentiti dalle disposizioni speciali dettate per il processo tributario”.

Come è noto, l’efficacia probatoria privilegiata delle scritture (particolarmente nel processo tributario che non consente l’ingresso della prova testimoniale) presuppone infatti che l’autografia della sottoscrizione sia certa o accertabile. Essa può divenire tale in caso di riconoscimento, tacito, ex art. 215 c.p.c., o espresso di chi appare averla vergata; mediante autenticazione della stessa da parte di pubblico ufficiale; mediante promovimento del giudizio di verificazione, vero e proprio incidente istruttorio, che si potrebbe render necessario in caso di disconoscimento ex artt. 216 – 220 c.p.c.

La questione come si è detto non è certo del tutto nuova; in altre occasioni la Corte Suprema aveva già deciso in modo conforme (la più recente è Cass. Civ. Sez. 5, Sentenza n. 7355 del 31/03/2011; in precedenza vedasi Cass. Civ. Sez. 5, Sentenza n. 6184 del 2006).

Generalmente, i motivi di ricorso in questi casi si appuntano, correttamente, sulla violazione dell’art. 2702 c.c., e degli artt. 215 e 216 c.p.c.; può infatti essere interesse del contribuente, come si evince dalla lettura delle sentenze edita in tema, dedurre d’aver tempestivamente disconosciuto la firma di girata di assegni posti dall’Ufficio a fondamento dell’accertamento fondato sulle risultanze di indagini finanziarie. E’ chiaro che in difetto di verificazione della scrittura (pacificamente appartenendo gli assegni bancaria alla categoria proprio delle scritture private) il giudice deve dichiararne l’inefficacia e la conseguente inutilizzabilità, a fini probatori, nel processo, ai sensi dell’art. 2702 c.c.artt. 215 e 216 c.p.c.

Infatti, Il mancato riconoscimento della scrittura, fuori dalle ipotesi legali di riconoscimento tacito, ne comporta ipso jure (articolo 2702 c.c.) l’inefficacia probatoria (Cass. Civ. Sez. 5, Sentenza n. 6184 del 20/03/2006).

Importante corollario necessario di quanto appena affermato è che non può sostenersi che il documento prodotto contro la parte che ne disconosce tempestivamente la sottoscrizione, e che non è non sottoposto a verificazione nelle forme di legge con risultati positivi in ordine alla autenticità della firma disconosciuta, conservi qualche efficacia probatoria. Per munire tal documento di siffatta efficacia non è necessario quindi che la parte disconoscente dimostri – con altrimenti illogica e pure illegittima inversione dell’onere della prova – che la falsificazione della firma avvenne contro la propria volontà od a sua insaputa.

Al contrario, ove la parte che produce il documento (in questo come nella maggior parte dei casi l’Amministrazione Finanziaria) intenda valersi a fini probatori del documento colpito dal disconoscimento, deve chiederne la verificazione a norma dell’articolo 216 c.p.c.; tal verificazione è ammissibile anche nel corso del processo tributario, previa sospensione di questo ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992artt. 1, comma 2, e 39, (Cass. Civ. n. 17937/2004Cass. Civ. n. 8567/2001Cass. Civ. n. 9054/1999Cass. Civ. n. 9755/1990), che hanno soppresso le limitazioni poste, nel precedente regime del contenzioso tributario, dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, articolo 39 (Cass. Civ. n. 6963/1995).

Specificazione necessaria di quanto appena affermato è l’applicazione del principio in parola a ogni genere di scrittura, ovviamente quindi anche a quelle che non sono oggetto di previsioni vincolanti per legge di firma o sottoscrizione ma sulle quali per altre ragioni la firma o sottoscrizione viene apposta ad altri fini: in tal senso la Corte ha ritenuto (Cass. Civ. Sez. 5, Sentenza n. 2483 del 06/02/2006) di comprendere nel novero dei documenti passibili di disconoscimento anche le fatture sulle quali tal apposizione risulta funzionale (anzi spesso la costituisce) alla formazione della quietanza del pagamento.

Dal punto di vista meramente terminologico può trovarsi conferma di quanto appena detto nella stessa dizione dell’art. 214 c.p.c.che distinguendo con puntiglio altrimenti inspiegabile tra “scrittura” e “sottoscrizione” consente, ritengo, l’onere del disconoscimento e la proponibilità dell’istanza di verificazione anche per i documenti non sottoscritti né firmati, purché olografi.

Naturalmente, ciò potrà avvenire nei limiti dell’efficacia probatoria di cui essi sono muniti.

E’ chiaro nel caso sopra riportato l’interesse del contribuente a disconoscere la firma, in quanto essa attesta la ricezione della somma di cui alla fattura, e ove si contesti l’emissione della fattura (quindi l’incasso della somma, di fronte alla tesi dell’Ufficio che sostiene, presumibilmente, l’emissione della fattura e la sua mancata inclusione nelle scritture contabili prima e nella dichiarazione poi, ad esempio) sarà opportuno corroborare tal contestazione con il formale disconoscimento della firma.

Tornando ora alle dinamiche strettamente processuali, appare chiaro come dal disconoscimento della firma – da parte del soggetto contro il quale viene prodotto il documento – debba attivarsi una reazione – da parte del soggetto che ha prodotto a suo favore il documento, adeguata e proporzionale all’azione avversaria.

Va premesso che se da un lato certamente il disconoscimento di una scrittura privata, ai sensi dell’art. 214 c.p.c., non richiede formule sacramentali o vincolate, esso deve comunque, rivestire i caratteri della specificità e della determinatezza, e non risolversi in espressioni di stile. Colui il quale vuole negare l’autenticità della propria sottoscrizione è tenuto a specificare, ove più siano i documenti prodotti, se siffatta negazione si riferisca a tutti o ad alcuni soltanto di essi (tra le altre, Cass. Civ. n. 24456/2011 e Cass. Civ. n. 12448/2012), risolvendosi la relativa valutazione in un giudizio di fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivato (Cass. Civ. n. 9543/2002Cass. Civ. n. 11460/2011Cass. Civ. n. 18042/2014).

Soprattutto, dal momento che il giudice tributario non può in ogni caso tenere conto, ai fini di ritenere raggiunta la prova di una circostanza sfavorevole al soggetto contro il quale è prodotto, del documento disconosciuto, è a questo punto necessaria la proposizione, ad iniziativa dell’Amministrazione finanziaria, di una formale istanza di verificazione (art. 216 c.p.c.).

Specularmente, quindi, all’iniziativa del disconoscimento, essa sola e unica costituisce quindi la reazione adatta – in caso di suo successo, ovviamente – a paralizzare il disconoscimento proposto e a conservare l’efficacia probatoria del documento contestato (in termini, Cass. Civ. n. 14961/2018).

Quanto alle modalità di introduzione nel processo del disconoscimento, la Corte Suprema ha fornito alcune importanti precisazioni peraltro adeguatamente ricavabili dal sistema processuale, confermate anche dal tenore della sentenza qui annotata.

Dalla lettura dell’art. 214 c.p.c.si evince infatti come il disconoscimento di scrittura privata, pur non richiedendo come si è detto l’uso di formule sacramentali, postula che la parte contro la quale la scrittura è prodotta in giudizio impugni chiaramente l’autenticità della stessa; detta impugnativa può riguardare il documento sia nella sua interezza sia limitatamente alla sottoscrizione, contestando formalmente tale autenticità, ove egli sia l’autore apparente del documento prodotto, ovvero, nel caso di erede o avente causa dall’apparente sottoscrittore, dichiarando di non riconoscere la scrittura o la sottoscrizione di quest’ultimo (Cass. Civ. n. 2361/2013).

Tal contestazione dovrà qualificarsi come inequivoca negazione dell’efficacia probatoria, non potendo consistere in una mera richiesta di perizia calligrafica la cui finalità può essere sia quella di addivenire alla prova della natura apocrifa sia quella di dimostrare l’autenticità della firma.

Quanto all’idoneità delle espressioni utilizzate dalla parte a configurare un valido disconoscimento essa è oggetto di giudizio di fatto ed è incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivata da parte del giudice del merito (Cass. Civ. n. 9543 del 2002Cass. Civ. n. 26162 del 2006).

Alcune considerazioni possono poi svolgersi, in conclusione, con riferimento alla tempestività di proposizione sia della domanda di disconoscimento sia dell’istanza di verificazione.

La disposizione dell’art. 215, primo comma, n. 2 c.p.c.secondo cui la scrittura privata prodotta in giudizio si ha per riconosciuta se la parte comparsa non la disconosce “nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla produzione”, deve intendersi nel senso che la prima risposta è integrata da un atto processualmente rilevante compiuto alla presenza di entrambe le parti, attesa l’esigenza dell’immediatezza della conoscenza del disconoscimento in capo al soggetto che ne è destinatario.

Da ciò discende, stante la natura impugnatoria del processo tributario, come non possa intendersi come prima risposta la sede della memoria illustrativa del ricorso in quanto la reazione del contribuente all’atto impugnato si manifesta con la proposizione del ricorso introduttivo.

Al più, quindi, tal disconoscimento potrà esser formulato nella successiva memoria ove sia l’Ufficio in sede di deposito delle controdeduzioni e produrre il documento che il contribuente intende paralizzare quanto a efficacia probatoria con il disconoscimento trattandosi della prima sede utile ad aggredire con la domanda di disconoscimento il documento in oggetto.

Alla luce delle sopraesposte considerazioni, può dunque ritenersi ormai consolidato l’orientamento diretto ad ammettere nel processo tributario sia il disconoscimento sia la verificazione del documento.

Naturalmente, trattandosi di istituto non di quotidiana applicazione, men che meno di fronte al giudice tributario, l’istanza di disconoscimento così come l’istanza diretta alla verificazione dovranno esser oggetto di particolare attenzioni da parte dei difensori delle parti; costoro dovranno evitare infatti che tali istanze risultino sovrapposte ad altre difese, ovvero sottintese nella deduzione di una diversa versione dei fatti (Cass. Civ. n. 12448/2012), e quindi prive dei prescritti requisiti di specificità e determinatezza.

In tali casi, infatti, è concreto il rischio di una valutazione di inammissibilità da parte del giudice adito.

Cassazione civile, Sez. V, sentenza 19 ottobre 2018, n. 26402

Articolo 214 c.p.c.

Articolo 216 c.p.c.