L’Amministrazione finanziaria ha l’obbligo di motivare l’atto risultante dall’istruttoria

Nella pregevole sentenza n. 30039 del 2018 la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione ribadisce che negli atti impositivi l’Amministrazione finanziaria deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, anche in relazione alle risultanze istruttorie. La motivazione del provvedimento, permettendo di comprendere la ratio della decisione adottata, garantisce il diritto di difesa del contribuente, consente una corretta dialettica processuale mediante una limitazione delle ragioni deducibili dall’ufficio nella successiva fase processuale contenziosa, e rende pienamente controllabile l’azione amministrativa in ossequio al principio di efficienza e imparzialità della Pubblica Amministrazione ex art. 97 Cost.

Orientamenti giurisprudenziali
Conformi Cass. Civ., sez. I civ., 8 aprile 1992, n. 4307;

Cass. Civ., sez. trib., 17 ottobre 2014, n. 22003;

Cass. Civ., sez. trib., 26 marzo 2014, n. 7056;

Cass. Civ., sez. trib., 7 maggio 2014, n. 9810;

Cass. Civ., sez. trib., 24 luglio 2014, n. 16836.

Difformi Cass. Civ., sez. trib., 1° dicembre 2006, n. 25624;

Cass. Civ., sez. Trib., 21 aprile 2011, n. 9187;

Cass. Civ., sez. I civ., 1° marzo 2016, n. 4047.

Nella sentenza n. 30039 del 2018 la Quinta Sezione della Corte di Cassazione enuncia il seguente principio di diritto: “l’avviso soddisfa l’obbligo della motivazione quando pone il contribuente nella condizione di conoscere esattamente la pretesa impositiva, individuata nel suo «petitum» e nella «causa petendi», attraverso una fedele e chiara ricostruzione degli elementi costitutivi dell’obbligazione tributaria, senza che l’atto possa esaurirsi nell’enunciazione di una imposizione fiscale di per sé, il cui fondamento sia soggetto a verifica processuale eventuale ex post, dovendo la motivazione dare contro degli elementi di fatto e istruttori del procedimento, e del fondamento di legalità, i quali rendono da un lato trasparente il buon andamento (art. 97 Cost., e, dall’altro, rendono subito pienamente controllabile l’operato della Pubblica Amministrazione”.
Il procedimento giudiziale scaturisce dalla impugnazione di un atto impositivo con il quale l’Amministrazione finanziaria contestava l’applicabilità dell’aliquota agevolata per le prime case non di lusso.
La Commissione Tributaria Provinciale adita ritiene fondate le doglianze del contribuente in merito all’insufficiente motivazione dell’atto, mentre la Commissione Tributaria Regionale accoglie l’appello dell’Amministrazione finanziaria.
La sentenza di gravame viene impugnata dal contribuente censurando la violazione delle norme in materia di motivazione del provvedimento impositivo, vale a dire:

– gli artt. 3 e 21 septies l. 7 agosto 1990, n. 241 sulla motivazione del provvedimento amministrativo;
– l’art. 7. l. 27 luglio 2000, n. 212 sulla motivazione del provvedimento tributario;
– l’art. 56, comma 5, d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633 sulla motivazione dell’atto impositivo in ambito IVA.

Nel caso di specie, il contribuente osserva che l’atto impositivo rinvia a un parere dell’Agenzia del Territorio non allegato e non precedentemente conosciuto nemmeno nel suo contenuto essenziale.
La Corte di Cassazione cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie anche il ricorso introduttivo del giudizio, con condanna alle spese del giudizio di legittimità.
Il Collegio aderisce all’indirizzo secondo cui la motivazione dell’avviso di accertamento assolve a una pluralità di funzioni atteso che garantisce il diritto di difesa del contribuente, delimitando l’ambito delle ragioni deducibili dall’ufficio nella successiva fase processuale contenziosa, consente una corretta dialettica processuale, presupponendo l’onere di enunciare i motivi di ricorso, a pena di inammissibilità, e la presenza di leggibili argomentazioni dell’atto amministrativo, contrapposte a quelle fondanti l’impugnazione, e, infine, assicura, in ossequio al principio costituzionale di buona amministrazione, un’azione amministrativa efficiente e congrua alle finalità della legge, permettendo di comprendere la ratio della decisione adottata (Cass. Civ., sez. trib., 17 ottobre 2014, n. 22003; Cass. Civ., sez. trib., 26 marzo 2014, n. 7056; Cass. Civ., sez. trib., 7 maggio 2014, n. 9810; Cass. Civ., sez. trib., 24 luglio 2014, n. 16836).
L’avviso di accertamento soddisfa l’obbligo della motivazione quando pone il contribuente nella condizione di conoscere la esatta pretesa della Finanza, “risultando espressa una fedele e chiara ricostruzioni degli elementi costitutivi dell’obbligazione tributaria, secondo la valutazione tecnico giuridica ed il metodo di rilevazione adoperato dall’ufficio” (Cass. Civ., sez. I civ., 8 aprile 1992, n. 4307).
Nella pregevole sentenza in rassegna la Suprema Corte ribadisce che dalla motivazione dell’atto impositivo deve emergere “una fedele e chiara ricostruzione di tutti gli elementi costitutivi dell’obbligazione tributaria”, così da garantire al contribuente “una adeguata, efficace e piena difesa in giudizio”.
Il Giudice di legittimità richiama sia la disciplina generale del procedimento amministrativo (art. 3, l. 7 agosto 1990, n. 241), sia il c.d. Statuto dei diritti del contribuente (art. 7, l. 27 luglio 2000, n. 212), in forza dei quali l’Amministrazione finanziaria deve indicare sia presupposti di fatto e ragioni giuridiche che ne hanno determinato la decisione in connessione alle risultanze istruttorie, nonché allegare l’atto richiamato.
Secondo il Collegio con la motivazione la Pubblica Amministrazione dà conto degli elementi di fatto e istruttori e del fondamento di legalità che garantiscono la trasparenza della sua azione ex art. 97 Cost. e che contribuiscono a ridurre il contenzioso, rendendone subito pienamente controllabile l’operato.
La pronuncia in rassegna è pienamente condivisibile.
La motivazione del provvedimento, enunciando “i presupposti in fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione della amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria”, è diretta a garantire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente, ponendolo, fin dal momento della notificazione del provvedimento, in condizione di avere adeguata informazione non soltanto delle circostanze di fatto, ma anche del titolo giuridico della pretesa impositiva, così da consentirgli prima di valutare la fondatezza della pretesa e l’opportunità di esperire l’azione giudiziale con pienezza di cognizione e senza inammissibili riduzioni del lasso di tempo a disposizione dovute alla necessità di acquisire i necessari elementi conoscitivi, poi, in caso di scelta per l’impugnazione giudiziale, di contestare efficacemente l’an e il quantum debeatur.
Nell’ambito di un rapporto con il contribuente improntato alla leale collaborazione, tale funzione inibisce all’Amministrazione finanziaria di modificare la motivazione di un atto unilaterale e autoritativo nel corso del giudizio adducendo ragioni diverse rispetto a quelle enunciate nell’atto impugnato. Inaccettabile è a fortiori ratione il riconoscimento di poteri decisori sostitutivi in capo al giudice tributario: il sindacato giurisdizionale non si svolge in nessun caso mediante sostituzione del provvedimento impugnato – pena la violazione del principio d’imparzialità – ma unicamente attraverso la sua eliminazione, fermo per il primo soggetto il potere di rimozione dell’atto in sede di autotutela.
I motivi del ricorso esprimono sotto quali profili il contribuente si duole dell’atto impugnato, specificando le ragioni giustificative della domanda di annullamento mediante l’indicazione dei precetti normativi che si assumono violati e la descrizione del comportamento della Pubblica Amministrazione che si ritiene difforme dal paradigma legale. Nell’ambito di un giudizio di impugnazione a critica vincolata, i motivi di ricorso non possono che coincidere con i vizi dell’atto impugnato e concorrere alla identificazione della domanda quale causa petendi.
Come la completa predeterminazione dei motivi di ricorso costituisce il necessario pendant dell’obbligo di motivazione degli atti impugnabili, allo stesso modo il divieto di allargamento dei primi corrisponde a quello di integrazione della seconda, entrambi concorrendo a realizzare una effettiva parità delle parti: tale equilibrio processuale non può essere alterato dal giudice tributario, al quale non è consentito accogliere la domanda di annullamento per ragioni diverse da quelle che il contribuente abbia prospettato.
Cassazione civile, Sez. Trib., sentenza 21 novembre 2018, n. 3003