Corte d’Appello di Ancona: nessuna prelazione agraria per chi coltiva solo per autoconsumo Sentenza n. 1307/2025, pubblicata il 31 ottobre 2025

Con la recente sentenza n. 1307/2025, la Corte d’Appello di Ancona ha confermato integralmente la decisione del Tribunale di Ascoli Piceno che, in pieno accoglimento delle difese dell’avv. Alessandra Amatucci, aveva rigettato la domanda di retratto agrario proposta dalle controparti, chiarendo un principio di rilievo pratico: non può essere riconosciuto il diritto di prelazione agraria a chi coltiva il proprio fondo esclusivamente per l’autoconsumo familiare, senza che tale attività presenti i requisiti di stabilità, continuità ed effettiva rilevanza economica.

Il caso

Due coniugi avevano impugnato la sentenza del Tribunale di Ascoli Piceno che aveva negato loro il diritto di retratto agrario su un terreno confinante.
Secondo gli appellanti, essi avrebbero posseduto tutti i requisiti per essere considerati coltivatori diretti e, dunque, titolari della prelazione agraria ex art. 7, comma 2, n. 2, della legge n. 817/1971, sostenendo che la coltivazione del loro fondo — destinato a erba medica — doveva ritenersi sufficiente anche se finalizzata al solo sostentamento dei propri animali.

La decisione della Corte

La Corte d’Appello ha condiviso l’impostazione del primo giudice che aveva accolto del difese dello Studio legale Amatucci.

Il Collegio, infatti,  ha ribadito che, ai fini dell’esercizio della prelazione agraria del confinante, non basta la mera coltivazione del terreno, ma è indispensabile che il soggetto rivesta effettivamente la qualifica di coltivatore diretto, intesa come attività svolta in modo stabile e continuativo e idonea a produrre un reddito, anche non prevalente.
Non può dunque essere qualificato come coltivatore diretto chi si limiti a coltivare saltuariamente o per diletto, senza che l’attività presenti carattere economico.

Il richiamo alla giurisprudenza di legittimità

La Corte ha richiamato un orientamento consolidato della Cassazione (tra le altre, Cass. n. 28374/2023; Cass. SS.UU. n. 616/1999), secondo cui la qualifica di coltivatore diretto può riconoscersi solo in capo a chi impieghi nella coltivazione almeno 104 giornate lavorative annue, a conferma della necessaria stabilità dell’attività agricola.

Nel caso concreto, il fondo di proprietà degli appellanti – di modeste dimensioni – era destinato alla produzione di erba medica per il sostentamento di animali da cortile e di due cavalli, senza alcuna commercializzazione dei prodotti.
Da ciò la Corte ha tratto la conclusione che la coltivazione fosse strumentale all’allevamento familiare e priva di rilievo economico, escludendo così la sussistenza della qualifica di coltivatore diretto e, conseguentemente, del diritto di prelazione agraria.

Il principio di diritto

La sentenza afferma un principio chiaro e di notevole importanza per la prassi applicativa:

“Il diritto di prelazione agraria del confinante spetta solo a chi eserciti la coltivazione della terra in modo stabile e continuativo, con carattere economico, e non anche a chi coltivi il proprio fondo in via meramente amatoriale o per autoconsumo”.

La sentenza, dunque, si mostra quale importante precedente per tutti i casi in cui si discuta della legittimazione del confinante a esercitare la prelazione o il riscatto agrario, offrendo un criterio rigoroso ma equilibrato per distinguere la coltivazione agricola effettiva da quella meramente hobbistica o familiare.

 

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